
La Sardegna è l’area geografica al mondo con più esordi di malattia in età giovanile.
La Regione ha istituito un registro di patologia, base essenziale per chi studia il fenomeno.
Intanto le associazioni di pazienti e i loro familiari si sono unite in una federazione.
«Il diabete arriva e ti stravolge la vita. Ti senti protetto solo nella settimana di ricovero quando il tuo bambino è assistito dalla A alla Zeta». Pietro Spano, 44 anni, imprenditore, è il presidente uscente dell’associazione Diabete Gallura, nata nel 2011 a Olbia «per iniziativa di genitori di bimbi con il diabete di tipo 1. «Il più piccolo dei miei due figli aveva 4 anni quando si è ammalato di questa forma di diabete autoimmune che in Sardegna ha un tasso di incidenza e un esordio nella popolazione infantile che non ha eguali in alcuna altra area geografica del mondo». Ma il diabete non è solo terapia farmacologica, per controllare i valori degli zuccheri nel sangue con l’insulina. «I genitori hanno bisogno di aiuto, formazione, sostegno psicologico, perché – aggiunge Spano – anche le operazioni più ordinarie come cucinare un piatto di pasta possono diventare una scalata insormontabile. Non possiamo più pensare che basti il supporto del diabetologo pediatra che ti dice che la tua vita è cambiata. Il diabete è vita, devi avere la capacità di condividere le istruzioni indispensabili con tutti coloro che ruotano attorno alla quotidianità del tuo bambino, dalla scuola allo sport». Per questo l’associazione è scesa in campo accanto agli specialisti e «ogniqualvolta si registra un esordio di diabete (e da inizio anno abbiamo già 10 casi a Olbia) – conclude – dei genitori esperti sono a disposizione per far capire che “si può fare” e i nostri figli a loro volta supportano con naturalezza i piccoli pazienti».
In rete
Da qualche tempo le diverse realtà associative nate nella regione si sono messe in rete. Riccardo Trentin, 52 anni, docente di scienze e insegnante di sostegno, convive col diabete di tipo 1 dall’età di 16 anni, è presidente della Rete Sarda Diabete (retesardadiabete.it) che si è costituita nel 2019: «Il primato della Sardegna, dove l’incidenza del diabete è quattro volte la media nazionale e da poco abbiamo superato anche la Finlandia, è sotto osservazione da parte dei ricercatori di tutto il mondo. Bisogna fare ricerca. E per questo è fondamentale superare il vecchio paradigma dell’associazionismo sardo frammentato, mettersi insieme. E anche avere un Registro di patologia. La nostra regione ce l’ha, è la prima ad averlo istituito. Ma non è ancora attivato. Dovrà essere la nostra “bussola” per orientare tutte le politiche socio-sanitarie, prevenzione, di cura e assistenza, con l’obiettivo basilare migliorare la qualità di vita delle persone con diabete in Sardegna».
Alla rete ha subito aderito l’associazione Diabete Nord Sardegna di cui è presidente Simona Salis, 38 anni, di Sassari. Anche lei ha il diabete autoimmune dall’età di 16 anni. «Ho altre co-morbilità e sintomi che forse sono una concausa del fatto che per cinque anni non è stata fatta la diagnosi. Anche da adulti si vive su un filo, devi mettere in conto che ogni cosa che organizzi può essere stravolta. Un esempio? Vai a fare la spesa, hai un’ora di tempo, ma mezz’ora passa per recuperare l’ipoglicemia. Devi sostenere un esame? Ma se passi tre giorni con la glicemia altalenante può diventare impossibile studiare. Eppure impari a capire la malattia e a conviverci». Se è arrivata a una diagnosi è grazie ai suoi genitori. «Non si sono arresi e hanno girato da un centro specialistico all’altro. E questo mi ha dato anche modo di vedere quanto in Sardegna eravamo frammentati. Quando abbiamo fondato la nostra associazione abbiamo anche pensato che era importante unire le forze». Nella regione su 1 milione e 600mila abitanti si contano 120mila persone con diabete, di cui circa 13mila con diabete tipo 1 (di cui 1500 bambini).
Il lavoro della Rete Sarda Diabete è seguito da vicino dal Csv Sardegna (www.csvsardegna.org). Lucia Coi, la presidente, spiega: «Il diabete è una malattia che riguarda tantissimi sardi, direttamente perché è coinvolto un familiare o un amico, oppure indirettamente. È una patologia subdola, perché spesso si scopre quando ha già causato dei danni importanti alla salute. Il Csv può supportare dal punto di vista della comunicazione e della informazione capillare, aiutare le associazioni a lavorare in rete e dialogare con la pubblica amministrazione».
di Paola D’Amico
Fonte Corriere della Sera del 28/02/2023